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Cina, Giorgia Meloni: «Draghi rimetta in discussione gli accordi della Via della Seta»

Organizzato dalla Fondazione Farefuturo in partenariato con l'International Republican Institute-Iri ed il Comitato Atlantico Italiano.

L’intervento integrale del presidente di Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei, Giorgia Meloni, al convegno "Countering China's influence in Europe and Italy"....

Buongiorno a tutti. Desidero innanzitutto ringraziare chi ha organizzato e reso possibile questa due giorni di altissimo livello: la Fondazione Farefuturo presieduta da Adolfo Urso, l’International Republican Institute rappresentata dal direttore per la Strategia transatlantica Jan Erik Surotchak e il Comitato Atlantico Italiano presieduto da Fabrizio Luciolli.

Il mio saluto va anche a tutti i relatori delle varie sessioni di lavoro e a coloro che vi parteciperanno, provenienti da tante Nazioni europee e dagli Stati Uniti, parlamentari dei gruppi popolari, liberali e conservatori ed esponenti di rilievo di Fondazioni, centri studi, think thank che possiamo accomunare nella definizione di “occidentali”.

Mi dispiace molto di non aver potuto essere fisicamente con voi, però ci tenevo a portare il mio contributo a questo importante evento su un tema così strategico. E credo che non sia affatto un caso che la sessione inaugurale di questo evento si svolga proprio in Senato e segnatamente nella Sala intitolata ai militari italiani vittime della strage di Nassirya in Iraq, dove erano impegnati in una missione internazionale su mandato dell’ONU per portare pace e sicurezza, insieme con altre forze armate alleate, americane e inglesi. Una missione lunga e difficile, che di fatto continua ancora oggi - anche se con modalità molto diverse - in un Paese nel quale anche recentemente si sono svolte libere elezioni parlamentari in condizioni di sicurezza ancora molto difficili.

Lo Stato Islamico è stato sconfitto però il terrorismo islamico è ancora forte in tutta l’area e ha coinvolto anche altre Regioni. Peraltro, ricordo che proprio un militare italiano è stato designato alla guida della rinnovata missione della Nato in Iraq, confermando la leadership dell’Italia all'interno dell’Alleanza in quell'area. Intervenire in quest’Aula intitolata a quegli eroi, sul tema “Alleanza atlantica in divenire”, tanto più nel contesto di un meeting internazionale che coinvolge parlamentari ed esperti di così tanti Paesi dell’Alleanza, ci carica di una particolare responsabilità, proprio perché avvertiamo che con il mutare degli eventi devono necessariamente cambiare le priorità e le modalità della nostra Alleanza.

Cambia la tipologia delle minacce, cambiano conseguentemente gli strumenti e i domini bellici. Ai tempi dell’Antica Babilonia esistevano solo due domini, la terra e l’acqua; oggi sono diventati cinque. Non più solo “terra” ed “acqua”, su cui per millenni ci si è confrontati, ma a partire da Novecento anche il “cielo”, e più recentemente lo “spazio” e il “cyber”. Domini al pari degli altri e forse più insidiosi di altri. E a questo la Alleanza si è dovuta adeguare e noi tutti che abbiamo incarichi istituzionali dobbiamo rendercene conto.

Proprio l’altro giorno, la Cina ha lanciato un missile interspaziale suscitando scalpore e i russi hanno distrutto un satellite, con uno sciame di detriti che potrebbe creare grandi problemi; ogni giorno si assiste ad attacchi hacker che possono anche avere origini statuali, Pechino ma anche Mosca ne sanno qualcosa. Alleanza Atlantica in divenire è anche questo: attrezzare la difesa anche sui nuovi domini, laddove conta innanzitutto, come e più del passato, la supremazia tecnologica. L’Italia c’è e noi garantiamo che ci sarà anche in futuro, consapevoli di quanto importante sia la posta che c’è in palio. Noi lo sappiamo; se qualcun altro non lo ha ancora capito o finge di non capirlo, anche questo meeting può contribuire a fargli aprire gli occhi, qui a Roma, come a Bruxelles o in altre capitali europee.

Credo che il lavoro che ne sortirà possa essere importante per tutti, nella sua complessità. Per la prima volta l’Occidente rischia di perdere la sua leadership. Per la prima volta sono messi in discussione i suoi valori fondamentali. Per la prima volta c'è un soggetto che punta ad assumere la supremazia globale ed ha la dimensione per farlo.

La sfida che dobbiamo affrontare non riguarda, infatti, solo la supremazia commerciale, economica, finanziaria, industriale, scientifica, tecnologica. Certo, anche questo, ma non solo questo. Riguarda la sopravvivenza della nostra civiltà che si fonda su diritti acquisiti nei secoli, la sfera dei diritti fondamentali dell’uomo: civili, sociali, politici.

Due millenni fa in queste strade esistevano già i cittadini romani e costruivano il Campidoglio. Ebbene, noi sappiamo cosa abbiamo realizzato in millenni di storia, quanto ci è costato, e non vogliamo certamente perderlo. Sappiamo cosa l’Alleanza Atlantica abbia garantito in questi decenni e vogliamo contribuire a renderla più adeguata al cambiare del tempo rispetto alle nuove minacce. Dopo gli Stati Uniti, l’Italia è la seconda Nazione per numero di contributi alle operazioni alleate con i suoi 9 mila militari impegnati in missioni internazionali, nonostante il ritiro dall'Afghanistan. Noi siamo e restiamo impegnati in prima fila, come dimostra anche la nostra presenza in teatri molto difficili. Ora, anche il nuovo dispiegamento in operazioni nel Sahel, nuova frontiera del “Mediterraneo allargato”, dimostra la qualità del nostro impegno. Sappiamo come quella sia la nuova linea del fronte, su cui puntano le organizzazioni terroristiche islamiche, galvanizzate anche da quanto è accaduto a Kabul. Se dovesse esplodere anche l’Etiopia - peraltro sede delle principali organizzazioni africane e i cui militari hanno spesso garantito le missioni di pace e stabilità in Africa - se dovesse scatenarsi la guerra civile e etnica e anche religiosa, precipiterebbe nel caos l’intero Corno d’Africa estendendo la superficie del conflitto, con nuovi drammatici flussi migratori.

Il ritiro dell’Afghanistan, per le modalità in cui è avvenuto, è stato un pessimo segnale al mondo, come dimostra la propaganda jihadista da una parte e il tentativo di potenze asiatiche di approfittarne, per espandere la loro influenza, dall’altra. La Via della Seta, come progetto per il dominio globale, passa anche dall'Afghanistan. Di questo avete già parlato nel precedente meeting realizzato due mesi fa a Roma, proprio in coincidenza con il ventennale dell’11 settembre, e so che quei lavori sono stati importanti per capire come possano cambiare le relazioni transatlantiche proprio in conseguenza del ritiro delle truppe dell’Alleanza da Kabul. Peraltro, proprio su questo è in atto un importante confronto a Bruxelles, sollecitato anche dal discorso sullo Stato dell’Unione della presidenza della Commissione Europa.

Noi non ci sottrarremo a questo confronto, su come rendere più attiva l’Europa nel fronteggiare le minacce globali e comuni. L’autonomia strategica dell’Unione non può, però, essere considerata un’alternativa alla Nato, ma un elemento che deve rafforzarne l'alleanza. Peraltro, penso sia chiaro a tutti come oggi non si discuta affatto di un Esercito europeo ma di una Difesa Europea. Anzi, per essere chiari, di una Difesa degli Europei: la visione di chi, come noi, ha sempre creduto nell’Europa delle Patrie. Lo dico senza infingimenti: ove anche si riuscisse a realizzare una Forza di intervento rapido formata da 5 mila uomini, con una turnazione di corpi di diversi eserciti nazionali, cosa sono 5 mila militari a fronte dei 9 mila che solo l’Italia già schiera all’estero? E come si fa a realizzare una compiuta e comune Difesa Europea se non esiste ancora, in alcun modo, una Politica Estera Europea?

L’esempio eclatante è proprio qui di fronte a noi, in Libia; dopo dieci anni da quel maldestro intervento militare, non c’è ancora una comune politica europea e i due fronti in campo, in Tripolitania e in Cirenaica, sono sostenuti da forze di mercenari contendenti di due “Imperi” che premono alle nostre frontiere, Russia e Turchia, che sfruttano anche la rivalità tra potenze sunnite. Credo che debba svilupparsi, dopo l’improvvido ritiro dall’Afghanistan, proprio la necessità di un impegno sistemico europeo e quindi atlantico nel “Mediterraneo allargato” (su cui chiaramente il sostegno degli Stati Uniti alla presenza italiana, per esempio in Libia, sarebbe importante). È qui, innanzi tutta in quest’area, che si misura la capacita della Unione di sviluppare davvero un’autonomia strategica. Se esiste veramente, il primo colpo deve essere battuto in Libia. Affrontare l’emergenza del “Mediterraneo allargato” significa però anche fronteggiare insieme l’emergenza migratoria, cosa che oggi non avviene affatto. Tutt’altro. L’Italia è stata lasciata sola a tutelare la frontiera mediterranea dell’Europa. Il cosiddetto accordo di Malta è evaporato nel nulla. La distribuzione volontaria non è mai stata realizzata.

L’Italia, dopo l’uscita del Regno Unito dalla UE, molto ben consapevole di essere la Nazione che per storia, cultura, geografia rappresenta al meglio le istanze atlantiche nel Vecchio Continente. Questa posizione può consentirci di tutelare meglio i nostri interessi nazionali, a cominciare appunto dalle aeree strategiche. L’Alleanza atlantica in divenire dovrà vederci protagonisti a presidiare, con altre forze europee, in nome e per conto della comune Alleanza, il teatro vasto, complesso e importante proprio del “Mediterraneo allargato”. Comprendiamo infatti come l’attenzione degli Stati Uniti si sposti nel Pacifico - come dimostra anche il recentissimo rapporto al Congresso americano - individuando nella politica imperiale cinese la principale minaccia globale. Proprio per questo “ciascuno deve fare i compiti in casa”, tanto più l'Italia - terminale della Via della Seta - per contrastare il soft power di Pechino. E ciascuno deve occuparsi innanzitutto del proprio “giardino di casa”. Ne parlerete a lungo in questi due giorni e spero che giungano altre occasioni pubbliche di confronto.

Prima è stato ricordato come quest’Aula sia stato il luogo dell’ultimo intervento pubblico di Joshua Wong, pochi giorni prima di essere arrestato. In quell'intervento il leader del dissenso di Hong Kong aveva anche evidenziato gli errori compiuti dal nostro governo nel sottoscrivere gli accordi sulla Via della Seta, dando forza alla vulgata di Pechino. Il tema di Hong Kong sarà oggetto di una vostra sessione, cosi come le minacce che subisce Taiwan. E per questo desidero salutare il Rappresentante diplomatico di Taipei, Andrea S. Y. Lee, qui presente. Credo che sia giunto il momento di rimettere in discussione quegli accordi. Perché a cosa hanno portato? Sono ancora attivi? Credo che in questo campo il presidente del Consiglio Draghi abbia maggiore consapevolezza avendo ben chiarito, sin dal suo intervento sulla fiducia, che la nostra politica estera doveva essere “europeista e atlantista”. Però servono atti conseguenti anche in riferimento a quegli accordi e una politica condivisa su come contrastare la propaganda e la penetrazione cinese in Italia.

L’influenza della Cina in Italia (e in Europa) avviene in diversi modi e sarà oggetto delle sessioni che accompagneranno questa giornata: dagli accordi sui media, sempre a senso unico, a quelli universitari, spesso anteprima della infiltrazione tecnologica, dalla penetrazione commerciale agli investimenti in asset strategici, dalla presenza nel settore delle comunicazioni a quella del digitale. Capire come avviene è il modo migliore per difendersi. E sono certa che i lavori di questa due giorni saranno determinanti e offriranno un contributo essenziale al dibattito pubblico in Italia e all’estero. Dunque, di tutto questo vi ringrazio e vi auguro buon lavoro.

Giorgia Meloni
Presidente di Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei (ECR Party)