La Commissione Europea ha bocciato il “blocco dei licenziamenti” perché «avvantaggia i lavoratori a tempo indeterminato a scapito di quelli a tempo determinato come gli interinali e gli stagionali». Per questo, si legge nella nota della Commissione «più a lungo è in vigore e più rischia di essere controproducente perché ostacola il necessario adeguamento della forza lavoro alle esigenze aziendali».
Queste poche righe rappresentano il concentrato ideologico espressione della visione neoliberista imperante in Europa: togliere diritti a coloro che ne hanno in ragione di un principio egualitario distorto. Togliere a chi ha e non dare a chi non ha.
Personalmente ritengo che il blocco dei licenziamenti non sia la soluzione al problema della disoccupazione in Italia. La disoccupazione, come ho scritto altre volte, diminuirà quando aumenterà la domanda interna e quindi per raggiungere tale obiettivo è necessaria una forte spinta pubblica alla ripresa dei consumi. Tuttavia mi colpiscono le motivazioni della contrarietà della Commissione europea a questo provvedimento emergenziale.
Mi colpiscono per la sfacciataggine istituzionale. Dopo il varo del Jobs Act, che è stato l’ultimo atto della guerra al diritto del lavoro, affermare che qualche lavoratore abbia ancora dei diritti “eccessivi” rappresenta una coltellata a tutti coloro che ritengono ancora che la nostra Costituzione abbia un valore. La nostra Carta fondamentale infatti all’art. 1 cita come asse portante del sistema democratico il lavoro. Quindi nel nostro sistema democratico il lavoro non è un diritto, ma è il diritto per eccellenza. Anche sovraordinato al diritto alla salute (pure se qualcuno tende a dimenticarselo).
Ritengo che anche i lavoratori interinali e gli stagionali abbiano altro a cui pensare che veder ridotti i diritti dei lavoratori a tempo indeterminato. E se seguissimo questa china, per me pericolosa socialmente, dovremmo affermare che il medesimo diritto al pari trattamento spetterebbe a queste ultime due categorie nei confronti dei dipendenti pubblici. O magari nei confronti di categorie iper protette come i professori universitari o i magistrati.
Quindi suggerirei alla Commissione Europea di rivedere quanto meno il testo delle motivazioni della propria contrarietà al blocco dei licenziamenti per evitare che un blocco sociale sempre più stanco e sempre più arrabbiato non avendo altri nemici cui rivolgersi possa, parafrasando Dante, alzare lo sguardo e guardare le stelle.
Il principio neoliberista per cui un mercato del lavoro e un mercato dei beni perfettamente concorrenziale si autoregolano generando una situazione di equilibrio è buono per i manuali di macroeconomia ma non per comprendere la realtà e migliorarla. Soprattutto la concorrenza non è un valore che la politica può continuare a sostenere a lungo. Quando il benessere era diffuso un tale ragionamento poteva fare presa, anche elettorale, perché pochi ritenevano di essere direttamente colpiti da provvedimenti fondati sui principi della concorrenza. Oggi che la povertà dilaga e la disoccupazione è a livelli preoccupanti trovare il capro espiatorio della mancata crescita è sempre più difficile. Concreto è invece il rischio di scatenare una perniciosa guerra tra poveri con sconquasso irreversibile del tessuto sociale.
Ora è il momento della solidarietà. Un valore che non ha cittadinanza a Bruxelles.
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