Qualche giorno fa l’Istituto nazionale di statistica ha reso note le stime di crescita dell’Italia prendendo come arco temporale di riferimento il secondo trimestre del 2021. In questo periodo infatti il nostro Pil sarebbe aumentato del 2,7% rispetto al trimestre precedente, facendo registrare un “balzo in avanti” – questa l’espressione usata da molti – della crescita complessiva del nostro Paese.
Sebbene la situazione generale sia ancora gravata pesantemente dalla crisi sanitaria, questo trend positivo è destinato a rimanere tale anche per i prossimi mesi futuri. Tuttavia – in un quadro in cui migliora tutta l’Eurozona con Francia e Germania un po’ al rallentatore – preoccupano le nostre micro e piccole imprese; la maggior parte di queste sta infatti scomparendo e il Covid ha dato il colpo di grazia ad una situazione già di per sé precaria. Grandi speranze vengono riposte nel Piano nazionale di ripresa e resilienza che – stando a quanto si dice – dovrebbe condurci fuori dal guado (burocrazia permettendo).
Ma – ci chiediamo – siamo sicuri che queste stime di crescita possano bastare per favorire una vera ripartenza? L’ottimismo degli economisti – i più hanno parlato di balzo e spinta in avanti dell’Italia – basterà per condurre il nostro Paese fuori dalla crisi pandemica? Rispondere a queste domande non è semplice, anche perché in economia i dati numerici sono soggetti a volatilità ed occorre essere sempre molto cauti nel fornirli e nel commentarli.
Una cosa però va segnalata. La maggior parte delle imprese che oggi rischiano di chiudere ( o hanno già di fatto chiuso) non ha ricevuto ancora dallo Stato i ristori del primo lockdown, con danni conseguenti circa il mantenimento degli operai o la eventuale assunzione di nuovi. Si tratta di una grave perdita per il tessuto produttivo italiano, visto che queste piccole-medie aziende operano nel settore della manifattura e delle costruzioni.
E se timidi segnali di ripresa ci sono, occorre mantenere alta l’attenzione su chi oggi produce ma rischia di chiudere a causa di un sistema burocratico farraginoso e non efficiente. E’ dunque ora di iniziare un serio programma riformatore, che coinvolga vasti centri produttivi del Paese: ripartire infatti vuol dire anche snellire, sburocratizzare, premiare chi fa di più e meglio di altri.
I dati Istat non basteranno a certificare una crescita che – se ci sarà – sarà soprattutto frutto del sudore dei tanti imprenditori onesti e coraggiosi che non avranno tirato giù la saracinesca dei loro impianti produttivi. A loro va il nostro plauso e la nostra stima.
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