Un argomento molto dibattuto in questi giorni è la predisposizione da parte del governo Draghi del famigerato PNRR: la progettualità da sottoporre all’Europa per l’ottenimento dei fondi del Recovery Plan. Tralascio la giusta osservazione che potrebbe essere fatta in merito alla non indispensabilità per un Paese come l’Italia di dover accedere a fondi vincolati quando potrebbe, a tassi bassissimi, ricorrere al finanziamento sui mercati. Mi soffermo invece sull’aspetto etico-morale dei vincoli (austerità espansiva e riforme strutturali) che l’Europa pretende ancora di imporre al nostro Paese.
Nelle note critiche di Bruxelles presentate al Governo Draghi si legge che l’Italia è carente in: apertura del mercato dei servizi pubblici locali, violazione della direttiva Bolkenstein sulle concessioni balneari e sulla messa a gara di concessioni energetiche e autostradali. Insomma l’Europa pretende di aumentare la concorrenza in questi settori. A quale scopo? È ormai dimostrato che le teorie sulle cosiddette “riforme strutturali” sono fallimentari nel garantire la crescita dei Paesi come l’Italia per i quali, al fine di garantire una sostenibilità dei propri debiti pubblici attraverso l’aumento del PIL, è necessario concentrarsi non sul lato dell’offerta ma sull’aumento della domanda interna.
Ora, dopo aver distrutto il mercato del lavoro, c’è chi sostiene che per far ripartire il nostro Paese sia necessario liberalizzare pienamente i mercati dei beni e dei servizi per raggiungere nella realtà quel feticcio chiamato “concorrenza perfetta” che è il punto di partenza di qualsiasi teoria neoliberista.
Ma siamo sicuri che le cosiddette liberalizzazioni non diventino delle privatizzazioni mascherate in cui i profitti sono appannaggio dei privati (preferibilmente stranieri) e le perdite sono collettivizzate a danno dei già martoriati bilanci pubblici?
La destra in questo momento storico in cui la sinistra ha abbandonato i lavoratori e le classi deboli ha la necessità politica di capire che la difesa della sovranità popolare e dell’identità culturale non può passare attraverso il sostegno acritico a politiche liberiste votate all’austerità espansiva e inneggianti alla libera concorrenza. La difesa di tali valori, infatti, può avvenire solo attraverso politiche economiche espansive (sia monetarie che fiscali) che abbiano come faro la solidarietà nei popoli e tra i popoli.
Il tutto insomma si riduce a un dilemma di etica sociale.
Da una parte il governo delle idee neoliberiste e dell’evanescente quanto deleterio diritto alla concorrenza (buono per pochi fortunati a danno di molti), dall’altra un mondo che, per il raggiungimento del comune interesse alla prosperità, antepone ad ogni scelta di politica economica il diritto alla solidarietà.
Questo diritto/dovere inteso non necessariamente come spirito meramente altruistico ma come mezzo per l’ottenimento del proprio indiretto vantaggio (in vero spirito hobbesiano).
La scelta che la destra farà tra queste due opzioni nel prossimo futuro rappresenterà lo spartiacque tra l’essere un’alternativa elettorale credibile per i prossimi decenni e l’essere destinata a rincorrere, con alterne fortune, i continui mutamenti dell’opinione pubblica.
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