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UN ANNO DI PANDEMIA

“Nessuno verrà lasciato indietro” e “ potenza di fuoco”. Queste sono le frasi più impegnative in cui si è lanciato il Governo Conte II dopo lo scoppio della pandemia. A un anno di distanza i fatti testimoniano una realtà ben diversa.

Per contraddire la prima affermazione è sufficiente citare l’Istat che ha da poco pubblicato i dati sull’andamento dell’occupazione e della disoccupazione in Italia (Rilevazione sulle forze di lavoro – marzo 2021) fotografando un Paese in grave sofferenza occupazionale. Altro che difesa di tutti i lavoratori.

La tanto sbandierata “potenza di fuoco”, invece, impallidisce di fronte al piano di rilancio presentato da Biden durante il discorso per i cento giorni dall’insediamento della sua amministrazione: la somma degli interventi previsti ammonta a complessivi 6.000 miliardi di dollari. Pur facendo le dovute proporzioni davanti a queste cifre il tanto atteso budget del Recevory Plan (250 miliardi circa) manifesta tutta la sua insufficienza a sostenere in modo serio il rilancio della nostra economia. Altro che potenza di fuoco. Tanto per avere un’idea delle proporzioni il Recovery Plan per l’Italia dovrebbe prevedere stanziamenti di circa un miliardo di euro per avere lo stesso valore pro capite.

Tornando ai dati presentati dall’Istat è necessario sottolineare alcuni punti per capire non solo il dramma che stiamo vivendo, ma anche quello, forse maggiore, che rischiamo di vivere quando terminerà il blocco dei licenziamenti (cioè dopo 30 giugno 2021).

La disoccupazione si assesta su valori di poco superiori al 10%. Un livello ormai usuale in Italia da metà degli anni ’80 ma che è ben al di sopra del tasso di piena occupazione che dovrebbe rappresentare il faro per ogni governo democratico, soprattutto in una repubblica costituzionalmente fondata sul lavoro.

Purtroppo gli italiani tendono ad abituarsi a tutto. Dopo anni con tassi di disoccupazione stabilmente a due cifre, trascorsi con grandi economisti e agenzie internazionali che sostenevano (non si sa bene su quali basi) che questo livello di disoccupazione fosse addirittura il nostro cosiddetto tasso di equilibrio (chiedere ai membri dell’Output Gap Working group), è stata necessaria una pandemia per farci accorgere che, grazie alle riforme varate con lo scopo dichiarato di aumentare l’occupazione, il mondo del lavoro italiano è più fragile e più diseguale.

I giovani lavoratori non sono tutelati e rischiano di essere espulsi dal sistema produttivo alla prima difficoltà (+53,6% tasso disoccupazione 25-34 anni tra marzo 20-marzo 21), le donne perdono il lavoro con una facilità disarmante rispetto agli uomini e i lavoratori dipendenti ormai adulti (over 50) riescono a mantenere il livello occupazionale solo grazie a norme straordinarie ma di applicazione temporanea (il blocco dei licenziamenti).

A questo punto della storia non sono più credibili i sostenitori delle politiche attive le quali rappresentano interventi palliativi di fronte ad una disoccupazione ormai divenuta strutturale (a cosa servono se le imprese chiudono?).

Non sono più accettabili neanche gli studiosi che continuano a sostenere la necessità di politiche tese ad aumentare la competitività delle nostre imprese sui mercati esteri. E’ noto che negli ultimi 20 anni l’Italia ha aumentato enormemente il valore delle proprie esportazioni senza che tuttavia questo aumento generasse un miglioramento significativo nei tassi di occupazione e disoccupazione del nostro Paese.

Quindi qual è la soluzione sostenibile per una vera ripresa dell’occupazione ed evitare il disastro dopo il 30 giugno? Per un keynesiano la risposta è ovvia: una coraggiosa politica espansiva delle proporzioni di quella messa in campo dall’amministrazione Biden per intenderci. Un mix di investimenti pubblici e assunzioni nel pubblico impiego il cui combinato disposto genererà, come già avvenuto in passato, un aumento della domanda interna. La nostra unica ancora di salvezza sia economica che sociale.