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GLI IMPIANTI SPORTIVI DELLA CAPITALE

Il regolamento comunale impianti sportivi della Capitale targato 5S contiene una serie di previsioni che limitano notevolmente i gestori degli impianti sportivi, creando un sistema che invece di esaltare il rapporto tra pubblico e privato mortifica il gestore privato considerato alla stregua di uno sfruttatore di un bene pubblico anziché un potenziale valorizzatore dello stesso.

All’art. 8 per esempio è previsto che il gestore per introdurre una nuova disciplina sportiva all’interno dell’impianto in concessione debba previamente chiedere l’autorizzazione all’amministrazione comunale. Ci si riempie tanto la bocca con la parola innovazione ma nei fatti la si limita e la si condiziona ai tempi e ai desiderata della burocrazia che non ha alcuna competenza né gestionale né tantomeno sportiva.

Al successivo articolo 9 il regolamento prevede un’autorizzazione preventiva anche per lo svolgimento di qualsivoglia attività ricreativa e socio-culturale aperta al pubblico che si volesse proporre all’interno del centro sportivo assegnato. L’autonomia gestionale, vero propulsore dello sviluppo e della sostenibilità economica di qualsiasi attività, anche non lucrativa, viene ulteriormente frustrata. In questo caso oltre al danno vi è anche la beffa di dover versare al Comune una ulteriore tassa (la TOSAP) per l’occupazione del suolo pubblico! Quindi al fine di, per esempio, organizzare un centro estivo per i bambini il gestore dovrà prima chiedere l’autorizzazione al Comune e poi pagare anche una tassa per l’occupazione di un suolo che gestisce e di cui si prende cura in maniera esclusiva tutto l’anno.

L’Amministrazione Comunale, inoltre, non paga delle vessazioni a cui sottopone i gestori dei propri impianti sportivi, ha ritenuto di dover arrogarsi il diritto di organizzare per ben 12 giorni l’anno attività a sua discrezione (limitando ulteriormente la libertà del gestore) senza riconoscere nulla al soggetto gestore per l’invasione. Insomma un pizzo legalizzato.

La libertà del gestore è ulteriormente ed immotivatamente limitata dall’art. 19 con il quale il Comune si assicura il diritto di sindacare anche sulla eventuale trasformazione societaria o sul trasferimento delle quote della società concessionaria. Un intervento pubblico sull’autonomia privata motivata solo dalla sfiducia intrinseca nei confronti della categoria dei gestori che si respira in ogni riga del regolamento in esame.

Tuttavia la norma più incredibile è quella contenuta all’art. 21 che ammette la possibilità per il Comune di revocare unilateralmente in ogni momento per generici scopi istituzionali l’affidamento prevedendo a titolo di ristoro economico solo un indennizzo e non un risarcimento. Un enorme rischio d’impresa non preventivabile che molto probabilmente scoraggerà i candidati gestori più accorti e zelanti.

In ultima analisi pur conoscendo le limitazioni imposte ai comuni dalla legge nelle procedure di assegnazione in concessione degli impianti sportivi sarebbe opportuno prevedere forme il più snelle possibili quantomeno per la categoria B e C cioè i centri sportivi più piccoli. Come si pretende di aumentare la concorrenza se solo per partecipare al bando è necessario produrre garanzie economiche notevoli e innumerevoli scartoffie?

Sarebbe opportuno superare l’attuale Codice degli Appalti, rendendolo più agevole e funzionale alla gestione della res pubblica, ma senza voler arrivare a tanto, almeno, il Comune potrebbe applicarlo nel modo meno invasivo possibile ad una realtà come lo sport che sicuramente, dopo le grandi difficoltà imposte dalla pandemia, non ha bisogno di ulteriori complicazioni.

E’ necessario iniziare ad avere fiducia nei gestori per poter vedere crescere qualitativamente e quantitativamente l’offerta sportiva del nostro territorio. Più libertà e maggiori controlli ex post garantirebbero una riduzione della burocrazia, dei costi amministrativi per il comune e maggiori possibilità di crescita per i gestori. Il binomio vincente è coniugare più libertà con più responsabilità.