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Atleti paralimpici e gruppi sportivi militari, una battaglia di diritti e civiltà

Lo scorso febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato cinque decreti sulla Riforma dello Sport. In questi testi, oltre alla molto discussa abolizione del vincolo sportivo, c’è una misura che il CIP (Comitato Italiano Paralimpico) rincorre da oltre vent’anni. Si tratta del riconoscimento delle pari opportunità per gli atleti paralimpici inseriti all’interno dei gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato.

Un passo avanti notevole, soprattutto se si pensa che questi atleti fino ad ora non godevano degli stessi diritti dei loro colleghi normodotati. Lo stesso Luca Pancalli, presidente in carica del Comitato Italiano Paralimpico, al momento dell’approvazione ha parlato di “Un provvedimento di civiltà che pone fine a una disparità che non aveva ragione di esistere e che, allo stesso tempo, ha il merito di inviare un importante segnale culturale a tutto il Paese per una piena inclusione delle persone con disabilità e per il riconoscimento di uguali diritti per tutti”. Questo provvedimento inoltre prende le mosse da una proposta di legge su questo tema presentata (come prima firmataria) nel 2019 dall’atleta paralimpica e parlamentare di FI, Giusy Versace.

Quella della equiparazione dei diritti degli atleti paralimpici nei gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato è infatti una vertenza che viene portata avanti da diverso tempo, senza che però si sia avuta la forza e la risonanza per costringere la politica ad intervenire.

Sono tanti i diritti che non venivano assicurati agli atleti paralimpici, primo fra tutti la retribuzione e l’assenza di contributi. Due elementi che già da soli fanno comprendere quale livello di disuguaglianza si sia raggiunto in alcuni ambiti. Questi atleti, oltre a non avere tutele sanitarie, non godono nemmeno degli stessi diritti di congedo dei loro colleghi. Infatti un atleta inserito nei gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato, una volta arrivato al termine della sua carriera sportiva può decidere di congedarsi, oppure di prendere servizio all’interno del Corpo o del Ministero di appartenenza, una scelta non concessa agli atleti paralimpici.

Quest’ultima differenza tra atleti paralimpici e normodotati pone sul tavolo un problema di opportunità e carriera lavorativa, che questo Decreto, una volta messo in funzione, dovrebbe finalmente sanare. In questi mesi sono stati portati avanti diversi incontri e pian piano il CIP sta creando tutti i presupposti perché questa iniziativa raggiunga il massimo dell’efficienza, portando finalmente uguali diritti a tutti gli atleti.

Resta però l’amaro in bocca se si pensa a quale difficoltà gli atleti paralimpici hanno dovuto superare per ottenere pari diritti all’interno dei gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato. È impensabile che la politica nazionale e i ministeri competenti (in questo caso Sport, Difesa e Interno) non siano riusciti ad intervenire prima per sanare queste disuguaglianze così odiose.

È sempre facile fregiarsi della bandiera dell’inclusione e gioire delle grandi imprese sportive dei nostri atleti paralimpici, ma dovrebbe essere altrettanto facile lavorare perché questi abbiano gli stessi diritti e opportunità dei loro colleghi.