L'industria automobilistica è in rivolta per la fine del motore a combustione. Secondo il piano presentato da Ursula von der Leyen, nel 2035 saranno vendute solo auto elettriche e a idrogeno.
Mentre il ministro italiano per la transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha chiesto venerdì al G20 sul clima a Napoli "un'accelerazione molto forte verso le energie rinnovabili", in Italia sta emergendo un divario tra la volontà politica dichiarata sul fronte del clima e le conseguenze di questi impegni per chi dovrà attuarli. Tanto che lo stesso ministro non ha paura di contraddirsi ogni pochi giorni.
Il piano presentato da Ursula von der Leyen il 14 luglio, intitolato Fit for 55, che mira a fare dell'Europa il primo continente a raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050, sta suscitando molta preoccupazione nel cosiddetto Governo dei migliori di Draghi come negli ambienti professionali direttamente interessati, industria automobilistica in testa che non sarebbe in grado di adeguarsi alla velocità della transizione imposta.
L’Europa chiede infatti che nel 2035 non si vendano più auto a benzina o diesel, ma solo elettriche e a idrogeno.
Oltre a questo, ci sono preoccupazioni per il pesante costo di questa transizione energetica per le famiglie e le imprese. Sarà reso più costoso dall'aumento della tassazione e dall'estensione delle quote di emissione di carbonio al trasporto marittimo e aereo, poi nel 2026 al trasporto stradale e agli edifici. L'impennata del prezzo delle quote di emissione sull'elettricità ha recentemente causato un aumento del 20% delle bollette elettriche, costringendo il governo italiano a limitare l'aumento. Mentre è previsto un fondo sociale per il clima, si teme che il costo crescente alimenti il risentimento che la popolazione inizia ad avere nei confronti delle linee guida progressiste imperanti nella UE.
Peraltro, l'Europa, che ha già ridotto le sue emissioni del 35% negli ultimi 15 anni, farà sforzi enormi anche se genera solo l'8% delle emissioni globali. I suoi sforzi da soli non saranno sufficienti", ha concordato Roberto Cingolani, a margine del G20. Il rischio è che se gli altri paesi non seguono l'esempio, le loro emissioni di CO2 compenseranno le nostre riduzioni, il sistema crollerà e nel frattempo noi resteremo senza soldi.
E qui sta il bello perché al G20 Cina e India non hanno sottoscritto due punti cruciali del piano, “per le nostre economie è troppo costoso impegnarci a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi entro il 2030”, hanno sostanzialmente dichiarato i delegati dei due paesi.
L’inviato americano, John Kerry, e il ministro italiano Roberto Cingolani, puntavano a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi al 2030 ed eliminare il carbone dalla produzione energetica entro il 2025, ma Pechino e New Delhi si sono opposte e l’accordo finale è stato rinviato al G20 dei capi di Stato e di governo di fine ottobre a Roma. Si tratta di due elementi chiave, scrive Reuters, che potrebbero mettere a rischio la speranza di ottenere un’intesa significativa.
Così dopo avere rischiato di vedere sfumare la trattativa si è arrivati a un compromesso: su un totale di 60 paragrafi previsti il documento firmato da tutti ne conta 58. Non ci sono gli impegni a mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi al 2030 e a chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2025. Ciò che non è stato condiviso verrà rimesso nelle mani dei capi di governo in sede di G20 a ottobre e alle trattative della conferenza Cop26 sui cambiamenti climatici, che si terrà a novembre.
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