Ogni anno nel nostro Paese, secondo i dati Istat del 2016 (gli ultimi disponibili sul tema), che analizzano l’andamento del tasso di suicidi nella popolazione italiana dai 15 anni in su, circa 4 mila persone si tolgono la vita e la maggior parte sono uomini che vivono al Nord Italia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno nel mondo muoia un milione di persone per suicidio.
E la depressione sembra non risparmiare nemmeno i più giovani. Secondo un report sempre dell’OMS a livello globale tra gli Under 30 il suicidio rappresenterebbe la seconda causa di morte, subito dopo gli incidenti stradali.
La piaga del suicidio giovanile sta diventando un tema sempre più attuale in questi ultimi anni e a confermarlo sono i dati diffusi dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma a settembre 2019, in occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio. Lo studio ha messo in evidenza un incremento delle richieste urgenti di accesso al Pronto Soccorso per tentativi di suicidio, un numero che nel 2019 risultava essere aumentato di 20 volte rispetto agli 8 anni precedenti (tra i casi anche bambini di 10-11 anni). E questo numero, denunciava a inizio 2021 Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, è aumentato sensibilmente in seguito alla pandemia. Un ricovero al giorno per attività autolesionistiche, è questo il dato che deve far riflettere. La preoccupazione per il fenomeno del suicidio giovanile viene confermata anche da una ricerca (precedente) pubblicata sul Journal of Child Psychology and Psychiatry secondo la quale in Europa il 27,6% degli adolescenti ha comportamenti autolesionistici (non solo sporadici). In Italia la percentuale è del 20% (1 ragazzo su 5).
Ma al di là di quelle che possono essere state le responsabilità della reclusione dentro casa e della limitazione della socialità, sia per restrizioni dovute alla pandemia che derivanti dalla didattica a distanza, che possono aver aggravato un disagio preesistente, il fenomeno del suicidio giovanile getta le sue basi nel profondo.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il suicidio è un problema complesso, non ascrivibile a una sola causa. A causare una forte fragilità possono essere ansia, panico, depressione, dinamiche familiari complesse o una forte preoccupazione per lo studio e non solo. Bullismo, cyberbullismo, emarginazione, discriminazione per sesso, genere e orientamento sessuale, solitudine ma anche la competizione e le aspettative che i giovani avvertono e la conseguente paura di non essere in grado di soddisfarle: il mito della perfezione da dover raggiungere a scuola, nello sport, in famiglia o rispetto all’aspetto del proprio corpo. In una sola parola: la sofferenza.
Ma come è possibile aiutare questi ragazzi? Innanzi tutto la parola d’ordine è: non lasciarli soli. Intercettare il disagio e arrivare in tempo per contrastarlo è compito in primis dei genitori e della scuola. Soprattutto nell’ambito di quest’ultima lo sguardo attento di un corpo docente ben formato può fare la differenza. Ecco un’altra importantissima funzione sociale dell’ambiente scolastico che con la didattica a distanza è stata persa: il contatto. Perché la scuola non è solo studio ed esercizio ma anche relazione e socialità.
Il fenomeno non può essere ignorato anzi. Deve essere affrontato a livello globale con lo stimolo alla nascita di enti e associazioni che operino sul territorio, la promozione di attività di informazione e sensibilizzazione sull’argomento. È fondamentale la collaborazione con insegnanti, medici di base e psicologi e favorire la diffusione di una cultura volta all’aiuto e all’ascolto oltre che incentivare la nascita di una fitta rete di servizi istituzionali in grado di poter accogliere chi, anche così giovane, necessità di un aiuto e di non sentirsi solo.
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