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Il no di Ungheria e Polonia

Polonia e Ungheria: le ragioni di un veto

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Ha suscitato sdegno e scalpore in molti rappresentanti politici europei, il veto posto da Polonia e Ungheria al Recovery Fund.

Anche l’Italia non è stata da meno, con titoli di giornali e dichiarazioni di vario genere.

Ma dove nascono le ragioni di un no apparentemente inspiegabile?

La realtà dei fatti è ben diversa da come viene raccontata, e nasce dall’applicazione dell’Art. 7 del trattato sull'Unione europea nei confronti di questi due governi, in base a tale applicazione infatti Ungheria e Polonia risulterebbero escluse dalle nazioni beneficiarie degli aiuti.

Ma cos’è l’articolo 7 e perché è stato applicato?

L'articolo 7 del trattato sull'Unione europea prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all'Unione europea (ad esempio il diritto di voto in sede di Consiglio) in caso di violazione grave e persistente da parte di un paese membro dei principi sui quali poggia l'Unione (libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto).

Insomma, in sostanza, la maggioranza dei rappresentanti del Parlamento europeo può stabilire in base al proprio colore politico quale paese è legittimamente governato e quale no e, di conseguenza, rilasciare la “patente democratica”.

Ora è noto come Orban e Kaczyński siano tra i principali rappresentanti di quel mondo “sovranista” che l’Europa “radical-chic” della sinistra tenta di delegittimare in tutti i modi, quella stessa sinistra che detiene la maggioranza in sede al parlamento europeo. Questa appartenenza “non conforme” è stata ritenuta sufficiente a far scattare l’applicazione della gogna dell’art. 7.

Non è la prima volta che nel parlamento europeo scattano meccanismi atti a emarginare e delegittimare rappresentanti di partiti e movimenti sovranisti.

Fu proprio l’italiano Sassoli, esponente del PD e presidente della commissione europea, ad introdurre la pratica del così detto “cordone sanitario”, che consiste nel non assegnare presidenze e vicepresidenze a rappresentanti di partiti di destra in seno al parlamento europeo. I primi a farne le spese furono la Lega di Salvini e il Rassemblement National della Le Pen, che si videro negare ruoli in seno alle commissioni spettanti di diritto. Oggi stessa sorte tocca ai rappresentanti di Fratelli d’Italia e, come visto, ai governi di impronta sovranista.

Una conferma di questo quadro arriva proprio da un esponente del centrodestra, l’eurodeputato di Fratelli d’Italia- ECR Group Nicola Procaccini, che in un video ha affermato ” le sinistre, che sono la maggioranza in seno al Parlamento Europeo, invocano la violazione dello stato di diritto – e quindi l’art. 7- ogni qual volta perdono le elezioni, censurando sistematicamente le politiche di governi di centro destra  eletti democraticamente perché, secondo loro, sono sempre contrarie ai valori europei. Era successo per l’Italia con Salvini al governo, succede oggi per Ungheria e Polonia.”

Secondo Orban sono considerati rispettosi del principio “quei Paesi che ammettono migranti”( MTI- Agenzia di Stampa Ungherese). E dunque le parole che la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni aveva pronunciato qualche settimana fa alla Camera, accusando l’Unione Europea di “utilizzare i soldi del Recovery Fund per piegare nazioni che vogliono difendere le loro radici, la loro identità, i loro confini” prevedendo anche il veto da parte di queste, si rivelano oggi più che mai come una previsione che si è puntualmente avverata.