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Quando l’inchino non basta ci si mette in ginocchio: la crisi del teatro ai tempi del Covid

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“Il pubblico, anche se ritiene vero ciò che è falso, ha il senso del vero e risponde sempre quando glielo si presenta. Oggi però non è più sulla scena che dobbiamo cercare il vero, ma per strada.”

Questa frase è stata pronunciata nel 1932 da Antonin Artaud, padre fondatore del teatro per come lo conosciamo oggi. Artaud pronunciava queste parole estrapolandole direttamente dal manifesto del suo Teatro della crudeltà, un movimento artistico che metteva al centro di qualsiasi argomento un unico elemento fondamentale: il sacrificio.

Ed è questo stesso sacrificio, che da sempre rappresenta il teatro, che però oggi si è tramutato in angoscia, sofferenza e rivendicazione del valore culturale di un settore stavolta arrivato al capolinea.

Oltre al FUS (fondo unico per lo spettacolo), dal 23 Aprile 2020 ad oggi, 26 Marzo 2021, sono stati stanziati per il settore omnicomprensivo di teatro, danza, musica e circo circa 55 milioni di euro in ristori e sostegni alle strutture.

Il teatro però vive ormai da tempo uno dei paradossi più assurdi che si possano immaginare: è una delle prime forme d’arte riconosciute ma viene trattata come fosse l’ultima trovata venuta fuori da chissà dove. Dopo tanti anni che la dinamica che si propone è sempre la stessa e dopo tante e tante volte che si sente parlare di crisi del teatro ci si deve chiedere di chi è la colpa di tutto questo?

Forse Molière che ha scritto spettacoli con troppi personaggi che incitano all’assembramento? Degli architetti che hanno fatto le buche per le orchestre troppo piccole e dove non è possibile distanziare un violino da un clarinetto?

 

Una certezza la abbiamo: non è colpa degli attori. Che però pagano lo scotto più alto e si ritrovano a dover sbattere la testa contro il muro di gomma della burocrazia (che comunque, nelle vesti dei suoi dipendenti, sta svolgendo un lavoro di forte partecipazione nel tentativo di fermare l’emorragia socio-economica che ha colpito i settori artistici). Non è colpa dei nuclei famigliari composti da soli attori, da soli tecnici, da soli organizzatori, da soli addetti ai lavori e mestieranti del teatro che adesso si ritrovano con un’inquietante prospettiva fatta di enorme incertezza e mancata rappresentanza da parte di tutte le istituzioni interessate.

Altro dato particolarmente inquietante, che ha portato a questa fatiscenza, è da deputarsi all’iper produttività che si riscontra facilmente spulciando tra gli archivi SIAE: dal 2015 al 2019 le produzioni teatrali sono aumentate del 1000% (da 8.500 a 85.000 spettacoli) portando, a una domanda sempre costante, un’offerta di proporzioni colossali, come se ogni spettacolo fosse un episodio di una serie televisiva da doversi guardare tutta in una notte. Il concetto di binge watching è legato al concetto di binge eating e cioè dello stimolo nervoso di nutrirsi tipico di chi soffre di disfunzioni alimentari gravi. Il teatro dunque è stato trattato alla stregua di un impulso patologico alla quale è difficile astenersi. Ne sono state messe in scena tante di raffigurazioni grottesche, ma questa le batte tutte.

In questa produttività maniacale, inoltre, il sintomo più grave e deleterio è che ormai da tantissimo tempo si tende sempre a lasciare sottinteso che la maggior parte delle “prestazioni” siano a titolo gratuito. Pagate in visibilità. Causale del bonifico: opportunità. Una moda pericolosa ma anche un ricatto al quale tantissimi giovani attori purtroppo devono sottostare. Gli ossimori una volta erano usati per scrivere equivoci divertenti, invece nel teatro di oggi vige il concetto di “lavorare gratis” che non fa ridere proprio per niente.

Riprendendo il concetto di serie televisiva, una delle soluzioni risiede, non a caso, nella trasformazione del teatro in una nuova piattaforma streaming dove gli spettacoli vengono trasferiti dal palcoscenico alle televisioni di ognuno di noi. Una sorta di teatro on demand come ultima spiaggia, dove la cosa più importante non viene né calpestata, né demolita: viene direttamente ignorata. La cosa più importante non sarebbe salvare il teatro portandolo sul divano di casa di ognuno, ma sarebbe salvare il teatro partendo dal teatro. Troppo spesso però le soluzioni vengono messe nelle mani di chi, situazioni come questa, non le ha vissute mai in prima persona; e quindi ecco che nessun attore, nessun regista e nessun addetto ai lavori viene interpellato per cercare di ripartire completamente da zero e assicurare una rinascita vera e propria e non un tentativo di tappare una enorme crepa nelle assi del palcoscenico con un po’ di nastro adesivo.

Di questo passo e con le attività ancora tutte in bilico tra chiusura, gestione a distanza e altri modi per non arrivare alla canna del gas, il rispetto delle normative prestazionali sarà pressocché impossibile. Il mondo aziendale e quello artistico non sono mai stati in buoni rapporti ma in ottima parte è perché si tende sempre a guardare al problema, senza ragionare mai sulle centinaia di possibili soluzioni. Perché si parla di dover ripartire con prosa, danza, musica, circo, cinema e lirica e ognuna di queste realtà può e deve trovare dei modi per tornare in forze. Sistemare ed organizzare l’affluenza di pubblico, stipulare contratti con nuove clausole e variabili, agibilità sempre più specifiche e anche semplicemente le pubbliche relazioni tra lavoratori dello spettacolo devono trovare ordine e riflessione.

È dovere anche del giornalismo (non solo settoriale) e delle produzioni, quello di dare voce e visibilità (questa sì, utile) a tutti i portavoce dei vari movimenti che possano parlare ai primi interessati, il pubblico, in maniera chiara, d’impatto, proprio come nei loro amati spettacoli. Soluzioni pratiche che arrivino da chi sta vivendo sulla propria pelle il dilemma di non potersi più esprimere per mezzo della propria competenza, a chi di quella competenza ne ha beneficiato da sempre.

Forse quando Molière diceva: “abbiate pure cento belle qualità, la gente vi guarderà sempre dal lato più brutto.” è stato preso troppo sul serio. Il teatro è meraviglia ed è visto come una scocciatura. Il teatro è rappresentazione e viene visto come distorsione. Il teatro è della gente e viene visto come un capriccio di pochi. Stiamo veramente per buttare per aria il duro lavoro svolto da tante realtà per creare modelli sociali sani e costruttivi soprattutto in zone dove i drammi sono tutt’altro che finzione?

Siamo arrivati a un bivio: perdere il contatto con questi catalizzatori di cultura, di fuga, di libertà o riflettere fino a spremere l’ultimo neurone per permettere prima possibile agli spettatori di potersi ancora una volta rifugiare nella curiosità e nell’aspettativa di applaudire fino a spellarsi le mani. Chissà che gli applausi non se li becchino anche i protagonisti di questo scempio, sempre che abbiano il talento per risolverlo.

Fonti:

[1] https://www.siae.it/it/chi-siamo/lo-spettacolo-cifre/losservatorio-dello-spettacolo#collapse2
[2] https://www.adginforma.it/nasce-nexo-larte-e-cultura-arrivano-ondemand-per-un-tempo-libero-di-qualita/

[3] https://www.policymakermag.it/fact-checking/crisi-del-teatro-ultimo-atto-quando-riaprira-il-sipario/