Un’Europa a suon di pagine lette, di storie narrate e vissute. Avventure di campioni del mondo dello sport, raccontate con quella leggerezza e competenza che fanno appassionare i giovani e soprattutto come sa fare Marino Bartoletti, uno dei volti più noti del giornalismo sportivo in Italia. Bartoletti inizia la sua carriera nel 1968 al Resto del Carlino. Per poi approdare come prima firma per le riviste Autosprint, Motosprint e Guerin Sportivo, di quest’ultimo ne è stato il direttore dal 1987 al 1990 e dal 1993 al 1994. È certamente in televisione che Bartoletti è stato consacrato come uno dei migliori giornalisti sportivi. Sempre pacato ed equilibrato nei commenti, in Rai cha condotto Il Processo del Lunedì, la prestigiosa Domenica Sportiva e nel 1993, ha ideato il talk-show domenicale Quelli che il calcio, programma condotto da Fabio Fazio. Dal 1994 al 1997 ha diretto la Testata Giornalistica Sportiva della Rai, riportando all’Ente di Stato il Giro d’Italia, il Mondiale di Formula Uno e quello di Motociclismo. Un pezzo di storia del giornalismo italiano, che attraverso la passione per la scrittura ha regalato negli ultimi anni alle giovani generazioni, pagine importanti ed insegnamenti dei valori fondamentali della vita, attraverso i suoi libri.
La squadra dei sogni: Il cuore sul prato; Tutti in campo e La coppa dell’amicizia, alla fine sono diventati una serie, come nasce l’idea di questi libri?
L’idea nasce dall’editore Gallucci che mi conosce da molto tempo, che un bel giorno mi dice, è impossibile che uno come te, con la tua esperienza di vita e di lavoro, con dieci olimpiadi e dieci campionati del mondo vissuti dal vivo, con tutti gli uomini che hai incontrato e con tutte le esperienze che hai avuto la fortuna di poter avere, non abbia voglia di scrivere qualcosa rivolto ai ragazzi parlando di etica dello sport. Ci ho riflettuto un po’ su ed ho fatto prevalere alla pigrizia la voglia di divulgare questo percorso di vita e di lavoro. Poi sarà che un bel giorno son diventato nonno e quindi mi è venuta ancora più voglia di parlare ai ragazzi, che detto per inciso con molta convinzione e cognizione di causa sono la parte migliore di noi, il patrimonio più importante che dobbiamo coltivare ed annaffiare.
Da queste tre pubblicazioni, escono fuori storie di amicizia, solidarietà, amore per lo sport, che poi sono i valori che i giovani dovrebbero portare avanti giusto?
Certamente si, contestualizzati nel realismo più totale, sono convinto che hai ragazzi bisogna parlare un linguaggio comprensibile e per nulla depurato, faccio un esempio, in questi libri si parla di tante cose che in qualche modo sfiorano, toccano i nostri ragazzi. Si parla di bullismo, cyberbullismo, si parla di interferenza indebita dei genitori, gli adulti non ci fanno bellissime figure almeno non tutti, si parla anche della morte, sono convinto anche per esperienza personale, che in qualche modo serva un percorso importante per parlare ai ragazzi della morte, qui lo faccio con molta dolcezza, parlando di un loro compagno a cui viene intitolata questa coppa, la coppa Lori, questo per dire che hai ragazzi e alle ragazze, bisogna parlare da uomo a uomo.
Ognuno potrebbe pensare che si parla di calcio nei libri, invece c’è ben altro.
Si è proprio così, come ho detto sin dall’inizio, è chiaro che il “pretesto” è quello di scrivere libri per ragazzi, in particolare delle scuole medie e quindi pre adolescenti anche se andrebbe detto che i libri devono essere letti dai 9 ai 99 anni, è una leggera forzatura commerciale, però è vero, penso che i genitori ed anche i nonni, anche in questo caso parlo con cognizione di causa, dovrebbero conoscere un pochino meglio i loro ragazzi, dovrebbero sapere il patrimonio che rappresentano, lasciarli maturare con intelligenza, cosa che non sempre avviene tanto è vero che alcuni personaggi negativi sono poi quelli che si incontrano regolarmente nei campi sportivi e nei campi di calcio in particolare, alla fine non posso dire banalmente che il bene trionfa, però il valore l’etica sportiva, fa si che questi ragazzi ci diano una lezione non banale, certamente di sport, di civiltà e in alcuni casi anche di vita.
La Pandemia ha colpito tutto il mondo, secondo lei lo sport può aiutare a ripartire nel modo giusto?
Lo sport in questo può e deve aiutare, aldilà della retorica da cui cerco di emanciparmi il più possibile, lo sport rappresenta dei valori straordinari e di crescita, lo sport ci fa vincere assieme e perdere assieme, perché lo sport ci ricorda che cos’è una squadra, perché lo sport ci ricorda che un obiettivo va perseguito certamente con lo spirito di sacrificio, sono tutti concetti che sono perfettamente applicabili. Devo dire che questi libri sono pre pandemici, infatti quello in cui sto mettendo la testa in questo momento, riguarda anche la nostra contemporaneità. Però credo che sinceramente, qualche piccola riflessione l’ho suscitata.
Passando all’ultima uscita, “La cena degli Dei”, abbiamo visto che è stato invaso dal firma copie, cosa vuol dire per uno scrittore, aver colpito nel segno?
Devo dire con totale immodestia, che non manca la popolarità, né mi è mancata la gioia in vita mia di avere un contatto affettuoso con il pubblico, però devo aggiungere che le piccole gioie che mi stanno dando queste creature cartacee, sono brividi che alla fine non ti danno neanche dieci milioni di telespettatori dall’altra parte della telecamera o del monitor. E comunque è un piacere palpabile di vedere che la gente, non dico non aspettasse altro, però avesse voglia di dialogare, di parlare, possibilmente con serenità e con realismo, sempre e sono cose che faccio spesso ai confini delle favole, io spesso scrivo favole che sembrano storie e storie che sembrano favole. Anche questa “cena degli dei”, dove la fantasia non manca perché è la storia di questo grande vecchio che assomiglia molto a Enzo Ferrari che assembla questo “banchetto” in paradiso, raccogliendo quelle che sono le persone che avrebbe voluto rivedere, alla fine poi tutto quello che viene raccontato è frutto di episodi vissuti, di episodi veri in qualche modo da me personalmente verificati e toccati con mano, perché è vero che Nuvolari e Senna non si sono mai incontrati in vita loro, pur essendo il primo il più grande pilota prima della guerra, il secondo probabilmente il più grande pilota della storia della Formula 1 così codificata, però vedere questi due signori che in fondo hanno fatto lo stesso mestiere, scambiare le loro opinioni e raccontare le loro storie che sono vere per quanto speziate dalla fantasia di questo assemblaggio, posso dire da lettore che il libro non mi è dispiaciuto sinceramente.
Nella sua carriera ha intervistato moltissimi personaggi, c’è stato qualcuno che le ha fatto veramente tremare le gambe?
Si, ovviamente Enzo Ferrari mi ha fatto tremare le gambe, ero un giovane giornalista e mi resi conto di essere davanti ad un mito, mi concesse la sua benevolenza e la sua amicizia, forse gli feci tenerezza non lo so, forse come disse lui, essendo io romagnolo di Forlì, ero concittadino di sua madre per cui lui si riteneva per metà romagnolo, vide in me un’ammirazione sincera quasi disinteressata, quindi mi prese sotto le sue ali protettive. Io ho conosciuto un Enzo Ferrari ed in qualche modo è quello che trasferisco in questo libro ed in questo luogo con la “L” maiuscola, che non tutti hanno conosciuto, perché è chiaro che ha trasmesso di se una sensazione di uomo burbero, forse anche cinico, anche se era un cinismo che nasceva dal fatto di dover difendersi da tanti dolori, da tante sofferenze che aveva avuto, però aveva dei tocchi di umanità ed anche di ironia, che il mio grande vecchio, quello della “cena degli dei” sicuramente non nasconde.
Ci piacerebbe sapere il suo rapporto con i social, e soprattutto se i giovani li utilizzano bene.
Il mio rapporto con i social ovviamente è abbastanza tardivo, sono entrato in facebook neanche cinque anni fa, aprendo una pagina privata e purtroppo anche una pagina pubblica, tutti mi avevano detto ovviamente che dovevo stare attento, non dovevo sbilanciarmi nel fare post di una certa dimensione, di una certa lunghezza, ho ascoltato tutti, ma alla fine ho fatto l’unica cosa che so fare, scrivere e raccontare storie, come mi ha scritto qualcuno, un “bracconiere di storie”. I giovani ci stupiscono sempre, devono crescere ed hanno bisogno di fare esperienze, alla fine credo che li sappiano usare meglio di qualche adulto.
Perché i giovani dovrebbero leggere i suoi libri?
Non devono leggerli per forza, però lo consiglio affettuosamente, perché si riconoscerebbero in tanti personaggi che sono citati e perché percepirebbero l’amore di un nonno che parla ai propri nipoti e capirebbero che lo sport è la medicina migliore di qualsiasi antivirus che esiste in questo momento.
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