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Turismo accessibile, viaggio alla portata di tutti

Battisti e Mogol, in una di quelle collaborazioni che dovrebbe essere ritenuta patrimonio nazionale dell'umanità, del quale essere fieri e orgogliosi, ci regalarono una meravigliosa “Sì, viaggiare”. Le parole di quella canzone ci portano con la mente ai viaggi e al giusto stato d’animo con il quale ora, in era covid, dovremmo riprendere a farlo: “... e potresti ripartire, senza per questo cadere nelle tue paure, rallentando per poi accelerare e tornare a viaggiare”. Usiamo oggi queste frasi scritte nel loro tempo, ma ancora attualissime, come cartina tornasole del periodo storico che stiamo vivendo. La pandemia, infatti, è ancora reale e presente, non la si può derubricare con una semplice alzata di spalle. Ma siamo di nuovo pronti a viaggiare, si può ripartire seppur con mille attenzioni, precauzioni, scelte ragionate. La domanda è: possono tutti tornare a viaggiare per davvero?

Non ci sono solo i problemi sanitari e virali a creare complicazioni. Il pensiero che spicca maggiormente per alcune categorie è la difficoltà pratica e logistica nel poter viaggiare. Il riferimento, va da sé, è alle persone con disabilità, soprattutto motoria.  Ma il segreto c'è, ed è semplice e diretto: investire sul turismo accessibile, che permetterebbe a chiunque di viaggiare senza più paure, né problemi o difficoltà. Anche perché tutti prima o poi diventeremo “disabili” nel corso della nostra vita, ecco perché non dobbiamo essere estranei a chi lo è adesso.

Per viaggiare servono ovviamente i soldi, e non ci dimentichiamo quanto e come sia cambiato il mondo dall'inizio del 2020. Un anno e mezzo di pandemia ha creato un gap sociale importante, con due “classi” ben distinte e separate, se non sulla carta, almeno nella vita reale: da un lato c'è chi ha moltiplicato i propri averi, dall’altro chi, viceversa, è caduto nel pozzo più profondo della miseria e della disperazione. E in questa divisione, ovviamente, c'è anche chi può viaggiare e chi no. Ci chiediamo se sia o meno giusto e realizzabile una redistribuzione della ricchezza che permetta a ogni abitante del pianeta di vivere senza essere sfruttato, orientamento che si pone come pilastro del “reddito di base universale” che anche Papa Francesco sponsorizza. Ma non è così strano: la redistribuzione delle ricchezze è un tema cruciale nella Chiesa da oltre mezzo secolo.

La religione sembra sempre parlare e basta, senza mai far seguire i fatti alle parole. Ma non è proprio così: si può agire, infatti, con furbizia e senza spendere una cifra astronomica per essere responsabili di scelte importanti atte a realizzare società nuove e “umane”. Come nella storia (reale) di alcune suore, capitanate da Judey Byron, che hanno deciso di comprare delle azioni di multinazionali delle armi per poter essere, oltre che ascoltate, influenti durante le assemblee e le scelte societarie. Finora, e sembra strano, ogni azienda in cui sono inserite dà loro ascolto.

Questi passi sono quelli adatti a raggiungere non solo una sopravvivenza collettiva, ma anche una maggiore etica in tutti i settori del mondo che ci circonda. Perché non siamo semplicemente “animali”: l’uomo è definito, già dai tempi dell'antica Grecia, un “animale sociale” a cui non basta solo mangiare per sopravvivere; deve anche essere felice insieme agli altri. E da qui parte tutto il concetto della ricerca della felicità. Ma questa è un'altra storia.