13 novembre 2017. Milano. Qualificazione al Mondiale di Russia. L’Italia del C.T. Giampiero Ventura pareggia contro la Svezia e per la terza volta nella sua illustre storia la Nazionale di calcio maschile è esclusa dalla massima competizione internazionale. Quello 0 a 0, vissuto come un’onta, ha rappresentato uno dei punti più bassi della storia dello sport italiano. Ha costretto un sistema a ripensarsi, ad aggiornarsi, a lasciare modelli obsoleti per abbracciare con fiducia il futuro ed ha invitato, più o meno velatamente, i dirigenti di una Federazione ad investire nei vivai per far crescere i migliori talenti del calcio nazionale.
A quattro anni di distanza, però, abbiamo un altro problema. Sempre con i vivai. A pagarne le conseguenze non è soltanto il calcio ma tutte le discipline sportive. Il coronavirus ed alcune discutibili scelte inerenti alla riforma dello sport stanno sbriciolando la base del sistema sportivo. Si sta creando una crepa che, qualora dovesse allargarsi, renderebbe instabile tutta la piramide. Se cadono le fondamenta, allora crollano anche i piani più alti. Se non si aiuta lo sport di base e si lasciano morire migliaia di associazioni e società sportive dilettantistiche che investono con passione e mezzi propri nella formazione e nella crescita dell’atleta, non solo sportiva, non potremmo più ammirare quelle generazioni d’oro dello sport italiano che hanno scritto pagine indelebili nella storia dello sport nazionale, ispirando e avvicinando ad una disciplina tantissimi giovani.
Da un anno a questa parte, a causa dell’emergenza sanitaria e delle restrizioni che hanno riguardato tutto il settore sportivo, lo sport di base è finito nel freezer. Congelato. Ibernato. Bloccato. L’Italia sta perdendo una generazione di atleti. Altresì sta rinunciando alla funzione educativa e sociale dello sport. Tra qualche anno potremmo ritrovarci senza campioni e con una generazione che è cresciuta priva di quei valori e capisaldi che solo lo sport è in grado di imprimere nelle persone. Chi opera nel comparto, dal presidente al dirigente, passando per il tecnico ed il collaboratore, è preoccupato, deluso, frustrato e sfiduciato. Tutti gli sforzi compiuti per mantenere alti l’interesse e le motivazioni dei giovani atleti sono stati inutili. Con i campionati regionali, provinciali o amatoriali che non ripartono, molti ragazzi, potenziali talenti, hanno abbandonato. E così, i vivaisti e i club che promuovono le diverse discipline hanno alzato bandiera bianca. Senza atleti e con meno introiti derivanti dalle sponsorizzazioni (non bisogna dimenticare che i main sponsor delle piccole società di paese o di periferia sono artigiani, locali e pizzerie, ovvero alcune delle categorie più colpite dalla crisi generata dal coronavirus), la chiusura o il cessare qualsiasi attività fino a nuovo ordine è stata una logica conseguenza. Come se non bastasse, anche la riforma dello sport ha contribuito a rendere ancora più cupa una tragedia annunciata. La caduta del vincolo sportivo, ad esempio, potrebbe essere la scure che infligge il colpo di grazia ai vivaisti, società, associazioni e club che costituiscono la prima casa dell’atleta. Per un ecosistema già in crisi è la fine. Senza la cessione di un tesserato ad una realtà più prestigiosa o senza un adeguato premio di formazione, la soglia di sopravvivenza di un’associazione o di una società sportiva dilettantistica si alzerebbe fino a diventare irraggiungibile.
Se non si ha una visione chiara del problema, se non si prendono decisioni in funzione del tempo che si sta vivendo, se non si programma a medio e lungo termine e se non si considera prioritario lo sport, si dice addio ad una generazione di sportivi. Si umiliano l’Italia, lo sport di base e la passione di chi opera nell’associazionismo sportivo.
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