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ESSERE CONSERVATORI OGGI

Il dibattito culturale che anima qualsiasi discussione politica degli ultimi quindici anni viene risolto dai giornali mainstream facendo uso della semplicistica dicotomia “conservatori-riformisti”. Il sostantivo “conservatore” in questo ambito viene utilizzato sempre con un’accezione negativa e anti-libertaria, mentre opposti canoni qualitativi vengono attribuiti al vocabolo “riformista”.

Proviamo a mettere un po’ d’ordine. Per farlo è necessario partire dalla definizione del termine conservatore. Per il dizionario tale è colui che tende spontaneamente ad essere scettico e quindi contrario al progresso. Pertanto al fine di qualificare compiutamente il significato politico del termine conservatore è necessario prima stabilire cosa si intenda per progresso. Il progresso a sua volta consta di molte sfaccettature: esiste il progresso tecnologico, quello medico, quello culturale, quello sociale, economico, e così via…

Per ora focalizziamo l’attenzione sul concetto di progresso sociale ed economico. 

In campo europeo attualmente il faro del progresso sociale ed economico è rappresentato dal diritto alla concorrenza nei mercati del lavoro, dei beni e dei servizi. Tutte le riforme degli ultimi quindici anni suggerite, auspicate e, in alcuni casi, obbligate dall’Europa ad alcuni Stati Membri sono state tutte fondate sull’esigenza di aumentare e raggiungere il massimo livello possibile di concorrenza. Questo genere di riforme in Italia hanno distrutto le conquiste ottenute dai lavoratori grazie alle lotte e agli scioperi degli anni 60, hanno obbligato le categorie professionali a prendersi responsabilità enormi per compensi da fame, hanno messo i piccoli imprenditori nella condizione di dover competere in mercati globalizzati dove hanno gioco facile a prevalere società che sfruttano legalmente la manodopera (il caso cinese è emblematico). In una parola il riformismo degli ultimi anni, voluto dall’Europa e decantato dalla stampa mainstream, ha distrutto le libertà e le conquiste sociali del dopoguerra nel nome del progresso.

Cui prodest? Chi ha beneficiato di questo sedicente progresso? Per dare una risposta a questa domanda è sufficiente confrontare due mercati europei di enorme importanza geopolitica: la siderurgia e la cantieristica. Nel primo l’Italia, a seguito delle privatizzazioni degli anni 90, ha visto perdere tutto il suo enorme potenziale e la sua centralità a favore dei concorrenti tedeschi. Nel secondo, invece, il nostro Paese ha mantenuto un ruolo centrale tanto da arrivare a proporre alla Francia l’acquisizione dei cantieri navali di Saint-Nazaire, ma ha visto fallire l’operazione finalizzata all’ottenimento del controllo della società Chantiers de l’Atlantique proprio per la contrarietà della Commissione Europea sussurrata e auspicata dai concorrenti tedeschi che non potevano accettare una posizione dominante dell’Italia in un mercato così strategico. Insomma, la concorrenza è un principio valido in Europa e per i liberal-riformisti mainstream solo quando favorisce l’economia teutonica (anche se a danno di milioni di lavoratori europei), negli altri casi va camuffato ed edulcorato.

Tracciato questo breve profilo del riformismo nostrano appare chiaro che al giorno d’oggi essere conservatori nel campo sociale ed economico significa essere strenui difensori dei diritti dei popoli e dei lavoratori. In una parola difensori dei valori più alti della Carta Costituzionale del 1948 che all’art. 1 afferma che la nostra Repubblica si fonda sul lavoro e che la sovranità appartiene al popolo. La politica conservatrice quindi in campo economico e sociale non può che essere quella di ridare voce al popolo e ai suoi bisogni contro quelli delle élite.

Alla luce di queste brevi considerazioni non vi resta che giudicare se il riformismo in campo economico e sociale sia un valore oppure un elegante strumento di oppressione dei popoli.