Le rassicuranti dichiarazioni della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sull’acquisto dei vaccini contro il coronavirus non sono state sufficienti a garantire l’auspicata risposta unitaria dei diversi Paesi europei. Alla prova dei fatti i ritardi delle consegne, la lentezza burocratica delle autorizzazioni ed i tagli sui quantitativi programmati hanno, al contrario, squarciato il velo del falso unanimismo continentale. Siamo al liberi tutti.
Il professor Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive del San Martino di Genova, uno dei virologi più aggreditati, è stato perentorio. Visto che non esiste una sanità unica europea è bene – ha dichiarato Bassetti ad un’emittente genovese – che“la contrattazione per l’acquisto dei vaccini la faccia il singolo Stato, non l’Europa che finora in questo ha fallito”. Ed ancora: “Quella che stiamo affrontando è una guerra e questa non è una normale campagna antinfluenzale, ma la più grande della storia dell’umanità, occorrono quindi strumenti eccezionali: meno male che c’è un generale. E’ bene segnare un cambio di passo: servono gli strumenti di una guerra e l’ organizzazione logistica di grande respiro. Se faremo così, nel prossimo mese forse raddrizzeremo una campagna vaccinale che ad oggi si è dimostrata pessima”.
Molti paesi vanno per conto loro
Sono parole che non danno adito ad equivoci. Nella “guerra” al Covid19 l’Europa ha reso evidente la sua disarticolazione amministrativa e la mancanza di un “centro” realmente ordinatore. Già da dicembre, d’altro canto, la Germania era andata per la sua strada, garantendosi trenta milioni di dosi di vaccino, con un accordo extra rispetto al meccanismo di quote prefissato da Bruxelles. In Polonia, il capo dello Stato Andrzej Duda ha discusso con il presidente cinese Xi Jinping dell´acquisto di massicce dosi del vaccino prodotto dalla Repubblica popolare.
E’ di qualche giorno fa l’iniziativa del Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, che, dopo avere criticato l’Agenzia europea per i medicinali perché “troppo lenta” nell’approvare i vaccini e per le “strozzature nella produzione delle dosi” si è rivolto ad Israele. “Austria, Danimarca e i membri del gruppo ‘First Mover’ in futuro non faranno più affidamento sull’Ue e, insieme a Israele, produrranno dosi di vaccino di seconda generazione per far fronte ad ulteriori mutazioni del coronavirus” – ha detto chiaramente Kurz. Il gruppo dei First mover si era formato in estate per iniziativa dello stesso Kurz per studiare risposte più celeri alla pandemia. Ne fanno parte Austria, Danimarca, Grecia e Repubblica Ceca, oltre alla Norvegia (che non fa parte dell’Ue), Israele, Australia e Nuova Zelanda.
Strategie geopolitiche
I quattro del gruppo di Viségrad – Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria – come anche la Serbia, esterna alla Ue, hanno deciso ognuno per proprio conto di non aspettare Bruxelles e di muoversi con programmi nazionali orientati ad accogliere i vaccini russo Sputnik V e il cinese Sinopharm. Nello scontro geopolitico, innescato dal Covid e dalla guerra dei vaccini, l’Europa ha, in definitiva, mostrato le sue intrinseche divisioni, legate non solo a disomogenee capacità organizzative interne quanto soprattutto alla sua incapacità a pesare sugli scenari internazionali. Niente accade per caso, laddove manca, da parte dell’Europa – usiamo non a caso una terminologia militare – la capacità di elaborare ed applicare una adeguata strategia della deterrenza sul fronte dei vaccini, in grado di contrastare l’aggressività delle grandi potenze (Usa, Russia e Cina) e delle aziende farmaceutiche ad esse collegate.
Se è vero che la mossa del Cancelliere Kurz e di altri leader europei, nel cercare autonomamente i vaccini, si basa sulle previsioni di alcuni esperti – citati da Kurz – secondo cui “nei prossimi anni sarà necessario vaccinare i due terzi della popolazione ogni anno”, l’ipotesi di una “guerra” di lunga durata sul fronte vaccinale è tutt’altro che velleitaria. Da qui la necessità di cambiare registro, declinando le politiche europee in tema di vaccini sul piano diplomatico, economico, geopolitico, tecnologico. In gioco c’è molto di più delle nostre politiche sanitarie. C’è la stessa credibilità dell’Unione Europea. E la necessità di uscire finalmente dalla retorica di un’unità continentale che, alla prova dei fatti, sul fronte vaccinale, è ad oggi risultata sconfitta.
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