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IL CODICE DEGLI APPALTI

Il nostro ordinamento giuridico da quando è soggiogato ai “valori” e ai principi dell’Europa Unita è stato infarcito nella produzione normativa di parole come concorrenza e trasparenza.

Sostantivi dal significato importante, ma che proprio per la loro profondità, secondo il nostro attuale legislatore rischiano di essere troppo generiche. Le leggi italiane che fino all’inizio degli anni novanta brillavano per sinteticità, organicità e chiarezza oggi, infatti, risultano un arzigogolo degno del peggior azzeccagarbugli di manzoniana memoria.

Un esempio su tutti è rappresentato dal confronto tra la legge sul procedimento amministrativo (legge 241/1990) e il codice degli appalti (d.lgs. 50/2016). Quest’ultimo per regolare solo una parte del procedimento amministrativo consta di duecentoventi articoli e venticinque allegati, rispetto alla norma generale del 1990, scritta da Massimo Saverio Giannini e firmata da Giuliano Vassalli, che annoverava meno di trenta articoli.

E’ curioso leggere nei titoli o negli obiettivi esplicitati di molte norme recenti la volontà di raggiungere la cosiddetta semplificazione amministrativa attraverso la redazione di testi più simili ad operae omniae che a previsioni normative.

Il legislatore della semplificazione produce norme ben più lunghe della divina commedia ma prive anche solo di un briciolo di organicità. Il cittadino comune, il piccolo imprenditore, rischiano di impazzire tra definizioni di soglie minime, cavillosi obblighi procedurali, glossari chilometrici per spiegare il significato delle parole, contraddizioni e complicazioni il tutto partorito dal desiderio folle di prevedere l’imprevedibile.

Tuttavia gli esperti fautori di norme così barocche diranno che scopo principale di tali previsioni sia quello di ridurre la corruzione e le frodi. Ma anche il più inesperto “conoscitor della peccata” sa che questi mali trovano terreno più fertile nella confusione e nel coacervo normativo piuttosto che nella sobrietà e nell’essenzialità.

Una semplice frase in cui si prevedesse che il procedimento amministrativo dovesse essere improntato a criteri di economicità, efficienza, efficacia e trasparenza garantendo, ove possibile il rispetto del diritto alla concorrenza potrebbe efficacemente sostituire, a spanne, un buon centinaio di articoli del codice degli appalti. Ovviamente per essere applicabile un eventuale codice siffatto necessiterebbe di una macchina amministrativa pienamente funzionante, con piante organiche complete e principi normativi ispirati al favor civis e non alla cultura del sospetto.

A tal proposito non è inutile ricordare come la legge 241 prevedeva per la prima volta l’utilizzo del silenzio-assenso. Il silenzio assenso è una fictio iuris che assegna effetti giuridici positivi ad una mancata espressione di volontà da parte della pubblica amministrazione. Questo concetto, oggi entrato nel senso comune, ha rappresentato una rivoluzione concettuale del diritto amministrativo sulla scorta di una visione libertaria della macchina amministrativa tesa a semplificare realmente per i cittadini il riconoscimento di diritti o facoltà fino a quel momento assoggettati al potere, spesso inerme, della pubblica amministrazione.

Oggi, dopo più di 30 anni di sedicente liberalizzazione dei mercati dei beni e dei servizi, ci ritroviamo, nel campo degli appalti e non solo, norme gravide di preclusioni e obblighi perentori che hanno più il sapore delle trappole legalizzate poste con l’obiettivo di indurre il cittadino in errore piuttosto che baluardi a difesa della legalità e della libera e paritaria partecipazione degli operatori economici.

La bulimia normativa infatti soffoca con legacci e catene i normali cittadini e i piccoli imprenditori ma lascia sostanzialmente campo libero alle multinazionali e ai grandi concessionari. E’ ora quindi che il Parlamento e la politica tornino prepotentemente al centro della produzione normativa e i partiti si facciano carico di una svolta ormai necessaria per permettere la ripresa dell’economia italiana e della fiducia degli italiani nella res pubblica, attraverso un’autentica opera di semplificazione lasciandosi alle spalle trent’anni di produzione normativa di parata e di fatto vaniloquente.